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Il Tigray è una regione ribelle etiope che tramite il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF) sta combattendo una guerra contro il governo centrale guidato da Aby Ahmed, premio Nobel della pace nel 2019: un riconoscimento sponsorizzato dagli Stati uniti e dalle monarchie del golfo volenterose di pacificare il Corno d’Africa. Nasce da questo motivo l’esigenza della pace con l’antica regione dell’Eritrea resasi indipendente nel 1993 e con cui è stata portata avanti una “guerra fredda” durata 27 anni.
Aby Ahmed, con il suo Partito della prosperità, ha scansato dal potere la minoranza tigrina capitanata dal Fronte di liberazione del Tigray (TPLF) sancendo il cessate il fuoco con l’Eritrea. Un accordo storico che gli è valso il Nobel per la Pace.
l’antica élite
All’origine del conflitto, tra l’antica élite del TPLF e la nuova élite guidata dal premio Nobel per la pace Ahmed, c’è un incubo. L’incubo è rappresentato dalla pace tra l’Etiopia e l’Eritrea che ha spinto la minoranza tigrina una volta al potere tra due fuochi ostili.
La decisione di posticipare la tornata elettorale prevista per il settembre del 2020 ha scaturito la prima fase della guerra. Il provvedimento di non far partecipare alle elezioni del 21 giugno la regione del Tigray, dove è in atto il conflitto, ha rafforzato i combattimenti sempre più aspri.
Il coinvolgimento dei soldati eritrei accanto agli etiopi nei massacri e nelle violenze sui civili dello scorso novembre e la chiusura al mondo della regione hanno fatto indignare diversi attori internazionali di peso. Antony Blinken, segretario di Stato americano, ha parlato di genocidio. Amnesty International, le Nazioni Unite e molteplici attori regionali hanno criticato fortemente l’operato del presidente etiope. Le testimonianze dei saccheggi, da parte delle truppe straniere e interne, degli ospedali di Medici senza frontiere hanno fatto il giro del mondo.
la guerra totale
Il conflitto non si placa e il TPLF ha riconquistato la capitale della regione Mekelle e ora minaccia di marciare su Addis Abeba. Lo sconfinamento sta avvenendo dopo il ritiro delle truppe governative e le sirene continue delle ambulanze, come riporta il The Economist, si possono udire anche a Dessie, città lontana dal confine con il Tigray.
Dal canto su Ahmed invoca la guerra totale rifacendosi allo spirito di Adua dove i soldati italiani furono sconfitti nel 1896. L’esistenza stessa dell’Etiopia è in pericolo quindi occorre che ognuno faccia la propria parte combattendo contro il nemico interno. “Tutti sono pronti con qualsiasi cosa dai machete ai kalashnikov” tuona un commerciante di Wedyla, città minacciata dall’avanzata del TPLF.
La ribellione in Tigray del Fronte di liberazione popolare è stata repressa brutalmente con stupri ed esecuzioni sommarie da parte dei soldati etiopi ed eritrei. Questo ha fatto da collante tra la popolazione e la milizia ribelle del TPLF che guida la marcia verso la capitale per destituire Ahmed.
L’etnia tigrina conta il 7% della popolazione, ma fu determinante nella lotta contro il regime dei Deng con a capo l’autocrate Menghitsu. Proprio la fuga precipitosa dalla capitale Addis Abeba di quest’ultimo nel 1991 permise il trionfo del TPLF che monopolizzò il 90% dei posti del nuovo esercito e dei servizi segreti. Il binomio, tra militari e intelligence, ha permesso la loro permanenza al potere per 27 anni per poi lasciare il posto ad Aby Ahmed che ora è diventato il nemico numero uno.
C’è poi una ragione geografica. La rotta, verso il porto di Gibuti dove passa il 95% del commercio etiope dentro e fuori l’immenso territorio nazionale, è il maggiore asso nella manica dell’élite tigrina. Controllare questo passaggio è l’assicurazione contro la sconfitta totale.
il declino del federalismo etnico
Il federalismo etnico del Corno d’Africa è seriamente minacciato da questa difficile pagina storica: un rapido declino, dopo anni di sviluppo ed eccellente immagine internazionale.
Mentre scrivo la recrudescenza della guerra arriva nell’antica capitale etiope Gondar. L’incubo è servito.
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