Il 7 dicembre verrà ricordato in Sudamerica come il ritorno della storia: una storia sotto la forma di una farsa, per citare Karl Marx. Ripercorriamo alcune gesta. Nel 1992, il presidente Alberto Fujimori sprangò il congresso peruviano con i carri armati e guidò il paese per otto anni come un autocrate.
Il mese scorso Pedro Castillo, un sindacalista e maestro elementare diventato presidente, tenta di sciogliere il congresso per celebrarne uno nuovo capace di scrivere una nuova costituzione capace di riorganizzare alcuni poteri tra cui quello giudiziario.
Il suo sforzo collassa in poche ore. Destituito dalla sua stessa maggioranza con votazione bulgara contro di lui, Castillo viene posto agli arresti con l’accusa di ribellione.
La sua avventura da presidente eletto nel 2021 tramonta. La vittoria ottenuta un anno e mezzo prima per una manciata di voti (50mila per l’esattezza su 18 milioni) contro Keiko Fujimori, la figlia dell’ex dittatore aveva rinsaldato la sinistra e lo scopo sociale di essa.
L’esperienza produce pochi traguardi in questo senso e aleggia invece una forte instabilità considerando che Lima, la capitale, è apertamente ostile alla presidenza. Infatti solo il 37% della popolazione capitolina ha sostenuto la coalizione di Castillo.
Vengono prodotti cinque gabinetti governativi e un avvicendamento consecutivo in ottanta ministeri. Castillo vacilla e tenta il tutto per tutto.
Il golpe Castillo fallisce
Arriviamo al colpo di mano del 7 dicembre dove la sfiducia all’ex maestro della periferia rurale produce l’ennesimo cambio in corso nella presidenza: il sesto presidente dal 2016 e anche la prima donna a ricoprire questo ruolo dall’indipendenza. Dina Boluarte, la vice di Pedro Castillo, lo sostituisce e quest’ultimo viene arrestato.
La polizia e l’esercito appoggiano apertamente la scelta del congresso e degli organi giudiziari e lo spettro di un possibile ritorno in stile Fujimori viene allontanato.
La periferia insorge a favore dell’ex presidente. A Puno, Cusco, Arequipa, Apurimac and Ucayali come anche nella capitale Lima si accendono le rivolte. Gli organi di sicurezza reagiscono. Molti rimangono sul terreno.
dina sotto accusa
I morti pesano. Le vittime distruggono il castello di carta “democratico” e Dina Boluarte finisce sul banco degli imputati. La democrazia va bene, ma i diritti umani devono essere rispettati.
La nuova presidente per salvare il paese dalla deriva autoritaria aveva lanciato lo stato di emergenza appena preso il potere. I fatti su cui indagano i procuratori generali peruviani sono legati all’intensità della repressione delle proteste pro Castillo. Nelle accuse si scrive “genocidio”. nelle carte risuonano procedure improprie e un “uso non necessario e sproporzionato della forza”.
Il Perù nel salvare se stesso dal golpe Castillo sta sacrificando qualcosa ancor più importante.
“Una nazione può perdere le sue libertà in un giorno, e non sentirne la mancanza per un secolo.” Montesquieu l’avrebbe vista così.