Nel secondo dopoguerra i partiti comunisti dell’Europa occidentale rivolgevano il proprio sguardo verso la patria del socialismo: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La loro reverenza era dovuta certamente all’ideologia che i successori di Lenin propagavano nella storia, ma era anche in parte dovuta alla capacità dell’impero dei soviet di donare influenze e finanze agli indomiti funzionari dei partiti.
Mosca esportava il Comunismo come il loro miglior marchio di fabbrica dell’epoca e parte dell’Europa oltre cortina ne era conquistata per la purezza della lotta che loro rappresentavano; tra l’altro il ricordo vivo del Nazismo e della sua sconfitta portata in dote dal sacrificio di 20 milioni di russi costituiva la prova della bontà del progetto socialista.
Il crollo della potenza ideologica russa aveva privato quella parte di mondo di un possibile contraltare allo strapotere americano. Per molti ex comunisti doversi sorbire il modello statunitense era come avere un arto amputato. L’individuazione di un mito da seguire e di un nemico da combattere aveva sempre prodotto un importante consenso sul continente e la mancata correlazione di questi due fattori aveva di fatto privato l’opinione pubblica di un sentiero dove serrare i ranghi.
A quasi trent’anni dalla caduta del muro, le elezioni europee stanno ricompattando l’esercito del consenso russo in Europa. Questa volta il nemico è l’Unione Europea stessa. L’istituzione continentale copiosamente forte economicamente, ma altrettanto debole politicamente difetta di potenza militare e senso di appartenenza: un bersaglio facile da conquistare con l’individuazione del nemico, oliate influenze e prebende agli indomiti funzionari dei partiti. Ma questa volta non sono gli ideali socialisti a tessere le trame, ma un tepore nazionalista rivestito da un insano fuoco sovranista propagandato, nell’ombra, dal presidente russo Putin.
L’ultimo caso di questa penetrante influenza è veramente inquietante. Heinz-Christian Strache, il leader del Partito della Libertà (FPO) e ex vice premier del governo in Austria, è stato filmato mentre negoziava, con una sedicente ereditiera russa vicina a Putin, dei finanziamenti illeciti in cambio di favori una volta al governo. Il tutto è avvenuto circa un mese prima del successo elettorale del FPO che lo ha portato ad avere il determinante 25% dei consensi per formare l’esecutivo con il partito popolare guidato da Kurz. La crisi che ha portato alla fine dell’alleanza e all’indizione di nuove elezioni scaturisce da questo filmato e dalla chiara accusa a Strache di essere un leader di un partito filo russo.
I partiti populisti di entrambi gli schieramenti di destra e di sinistra, molti filo russi, avevano fatto molto bene nelle elezioni europee del 2014 conquistando più o meno un quarto dei seggio del parlamento europeo ad oggi uscente.
Questo atteggiamento ha alimentato le paure di un blocco coerente a favore di Putin a Strasburgo. In Grecia, il partito governativo della sinistra radicale Syriza aveva guardato con molto interesse verso la Russia. Nel febbraio del 2015, all’indomani dell’insediamento, Nokos Kotzias, il nuovo ministro degli Esteri, si recò a Mosca per il suo primo viaggio fuori dall’Unione Europea.
Syriza si dimostrò subito “freddo” nei confronti delle sanzioni contro la Russia, e oppositore all’espansione di esse. Podemos, un altro partito nascente di sinistra che guidava i sondaggi in Spagna nel 2016 era ampiamente pro – russo. Il suo leader Pablo Iglesias accusava l’Occidente di negoziare su un doppio binario con Mosca.
Il francese Fronte Nazionale, il più largamente di destra dei partiti europei di una certa rilevanza apertamente ammirava e ammira Putin. Marine Le Pen, ha fatto diversi viaggi nella capitale russa.
Nel 2014 aveva accettato un prestito di €9,4 milioni dalla Prima Banca Russa della Repubblica Ceca (First Czech Russian Bank), una società finanziaria direttamente legata con il Cremlino.
Aveva inoltre apertamente dichiarato che il finanziamento era una tranche di un prestito totale di 40 milioni. La signora Le Pen giustificava questo comportamento accusando le banche occidentali di avergli voltate le spalle.
Il partito dell’estrema destra ungherese Jobbik che aveva ottenuto il 20% dei voti per il parlamento di Budapest dell’aprile 2014 era dichiaratamente putiniano.
Nel 2013 il suo leader aveva descritto la Russia come il guardiano dell’eredità europea, contro il “triceratopo” UE. La sua figura più controversa, Bela Kovacs, un membro del Parlamento Europeo, agiva in nome degli interessi della Russia e aveva supportato l’invasione della Crimea.
Anche Fidesz, il partito governativo dell’Ungheria, una volta fieramente anti – comunista, ha anche esso coltivato strette relazioni con Mosca; il leader Viktor Orban tuttora lotta per costruire uno stato illiberale nel cuore dell’Europa.
Non ci sono elementi evidenti che la Russia finanzi direttamente i partiti politici europei, tranne il caso del Fronte Nazionale francese e quello ultimo di Strache, ma molti sospetti montano considerando la portata del Russiagate americano dove anche la potenza statunitense ha avuto qualche difficoltà ad arginare l’influenza putiniana di cui non è stata ancora chiarita del tutto la portata. Ricordiamo per l’Italia la maglietta con la faccia di Putin mostrata più volte dal Ministro dell’Interno odierno, Matteo Salvini, di fronte agli eurodeputati in segno di appoggio alla politica russa e contro le sanzioni per le vicende ucraine.
Gli altri leader sovranisti, che si sono trovati a Milano la settimana scorsa con Matteo Salvini insieme agli avanguardisti Marine Le Pen e Heinz Strache, hanno mostrato nelle varie dichiarazioni, pronunciate negli anni, molta vicinanza ai valori di Mosca come il forte anti europeismo, ma non ci sono prove per il momento che abbiano ricevuto “parcelle” per indecifrati sostegni.
La Russia aveva però già trovato un uso per i suoi amici europei: legittimare le sue elezioni “taroccate”. Un equipaggio di sovranisti sono volati in Crimea per sostenere il referendum e le elezioni organizzate dai separatisti nel Donabass nel 2014 con cui Mosca ha annesso la penisola. Tra di loro c’era Kovacs e Aymeric Chauprade, consigliera di Marine Le Pen. I media russi ritraevano questi “lacchè” come ufficiali e indipendenti osservatori elettorali.
Il presunto esercito putiniano sembra essere pronto per la battaglia finale con i dirigenti dei partiti europei filo russi in grado, questa volta, di strappare un più alto sostegno e magari adoperarsi per perseguire le mire russe di manipolazione, se non di distruzione, dell’Unione Europea.
Putiniani di Tutta Europa, Unitevi!