Questa è la storia di un successo distorto dell’integrazione europea. Un successo perché forse è la vera (e sola) politica comune perfettamente riconoscibile anche nel nome: Politica Agricola Comune, PAC. Distorto perché la quota di spesa ammonta a 1,1 % dell’intero reddito nazionale globale dei 27 paesi (esclusa UK) ed è fortemente squilibrata nell’elargire le risorse destinate.
Sono in valore 1.100 miliardi di euro tra il 2020 e il 2027 e sebbene sia “modesto” l’importo da erogare, considerando la mole delle economie, i frugali paesi del nord vorrebbero spendere meno dell’1%.
Tuttavia, il malloppo della PAC, piccolo o grande che sia, è uno dei principali capitoli del Multi Annual Financial Framework, il documento di programmazione economica dell’UE, che destina il 37% delle spese nella Politica agricola comune: uno strumento che funziona principalmente per creare montagne di burro, di patate, di grano e laghi di vino nei paesi principali destinatari come la Francia, l’Irlanda e i paesi dell’est Europa.
Sul fondo vediamo gli agricoltori olandesi chepercepiscono il 7% del loro reddito in aiuti UE, mentre al top ci sono i lituani che “raccolgono” un terzo del reddito agricolo proprio dalla PAC.La nuova presidenza vorrebbe calare del 5% per destinare questi soldi in ricerca e sviluppo tecnologico. In poche parole si passerebbe dall’attuale 37% al 32%.
Un proposito nefasto per la presidenza francese abituata a fare man bassa dei quattrini della politica agricola. Macron ha già tenuto a dire che i contadini francesi non perderanno nemmeno un euro.
Sono già pronti forconi e trattori!