Bruxelles di solito eruttava dati e tassi che ammorbavano le principali capitali europee: crescita e debito, inflazione e stagflazione, immigrati economici e rifugiati.
Spesso lanciava anatemi e diktat che sono ormai un lontano ricordo. Possiamo sorridere ripensando al referendum greco del 2015 o alla defenestrazione propiziatoria di Berlusconi nel 2011 nel pieno della crisi del debito italiano. Possiamo ormai intenerirci rimembrando l’onda dei profughi sulla rotta balcanica che pavimentavano le vie dei Giannizzeri fino ad attraversare le strade di Budapest e Vienna.
Lontani ricordi di un tempo che fu.
Bruxelles è sommerso dal COVID. L’incidenza di positivi su 100.000 abitanti è definitivamente lanciata verso il primato europeo allorché la Repubblica Ceca con 1.234 positivi per 100.000 abitanti sta rallentando la sua corsa.
Il 20% dei medici è assente perchè in quarantena o isolamento volontario. I bar e i ristoranti sono chiusi; dopo la mezzanotte vige il coprifuoco e perdurano più stringenti limitazioni dei contatti sociali, dello sport e della cultura. Insomma, qualcosa di più flebile, ma già visto.
Il governo di Alexandre de Croo insediatosi tre settimane fa è già sulla graticola. Un paese burocraticamente diviso tra tre entità linguistiche, francese, fiamminga e germanofona, non riesce a comprendere nemmeno in questo delicato momento il senso dell’unità. I diversi livelli di potere litigano sulle misure da prendere e il tempo viene sperperato in tatticismi e spesso livore.
Non si parla di Nouvelle vague, ma di catastrofe sanitaria. Qualcosa che segnerà in maniera imperitura il simbolo dell’Europa unita.
28 giorni dopo
Un film di Danny Boyle di vent’anni fa, 28 GIORNI DOPO, guardava il mondo visto con gli occhi di un uomo che si svegliava dopo 4 settimane appunto dal coma in una Londra deserta senza abitanti infestata da spietate bande di militari e da un raro virus che rendeva le persone zombie. Una pellicola umana, da cardiopalma che finisce però bene. Ho usato questa storia per descrivere l’epidemia di Ebola, meno contagiosa, ma altamente più letale del COVID considerando il tasso di mortalità del 66% e la morte che sopraggiungeva in media il ventunesimo giorno.
Lo scenario delle città deserte non è proprio lo stesso, ma si avvicina al film britannico. Parigi, Madrid, Amsterdam, Berlino, Milano, Praga, Varsavia e la stessa Londra stanno di nuovo sperimentando la chiusura sociale ed economica della vita.
Un virus corrosivo che non tramuta la gente in non morti, ma in vivi che si credono spesso in un universo parallelo inimmaginabile solo sei mesi fa.
Quando uscirà la prima pellicola americana sul coronavirus sia esso un documentario o un film vero e proprio non sarà fantascienza e non potremo più dire “un’americanata”, ma solo contare i giorni dall’uscita dall’incubo.