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sudamerica
Nel 2010, Alain Roquié, uno dei più fini conoscitori in Francia, concludeva in questo modo un libro dedicato alla regione:
“Dopo decenni di instabilità e dittature, la democrazia sembra aver messo le radici ovunque.”
Rifletteva sull’arrivo al governo di Michelle Bachelet in Cile (2006), di Evo Morales in Bolivia (2006) e di Luiz Inacio “Lula” da Silva in Brasile (2003), l’ex ambasciatore francese a Brasilia commentava con soddisfazione:
“Oggi una donna, un indigeno e un operaio possono accedere alla più alta carica dello Stato attraverso le elezioni.”
Dieci anni più tardi, il quadro è cambiato. L'”Indigeno” è stato rovesciato da un colpo di Stato; l'”operaio” è un perseguitato da una giustizia strumentalizzata dai conservatori; e se Bachelet ha potuto terminare il proprio mandato, Dilma Roussef, eletta nel 2011 alla guida del Brasile, è stata destituita in seguito a un complotto parlamentare senza alcun fondamento giuridico.
Democrazia
Lungi dall’«aver messo radici ovunque», la democrazia latinoamericana sta attraversando un nuovo periodo di instabilità, s non addirittura di deriva autoritaria. A cosa è dovuta questa tendenza deludente? Forse ai progressi che l’hanno preceduta.
Come Icaro, che con ogni colpo di ali in direzione del sole si avvicinava al momento della caduta, i democratici latinoamericani, mentre procedono verso l’obiettivo desiderato, sembrano infatti condannati a creare le condizioni del proprio fallimento.
Per quanto possa sembrare paradossale in una regione associata ai militari in occhiali scuri, le repubbliche latinoamericane sono fondate su un principio democratico.
Quando hanno proclamato la propria indipendenza, nel corso del XIX secolo, le élite bianche «creole» hanno spiegato il vessillo dell’Illuminismo. Se hanno preso le armi, è stato in nome della sovranità popolare: «Nel sistema spagnolo» scriveva il Libertador Simon Bolivar «gli americani non trovano altro posto nella società che quella di servi destinati al lavoro e, tuttalpiù, di semplici consumatori. Non siamo mai stati viceré o governatori, raramente arcivescovi e vescovi; mai diplomatici; come militari solo subordinati, non siamo mai stati né magistrati né responsabili delle finanze».
cosa sta accadendo in colombia?
2,9 milioni di contagi da coronavirus. Oltre 75 mila vittime e il PIL che ha fatto segnare un meno 6,8% nel 2020. Il tasso di disoccupazione al 14,5% e un deficit fiscale in aumento del 5,3% rispetto al 2019 in questo contesto lo scorso 5 aprile il governo del presidente colombiano Ivan Duque ha presentato al congresso una riforma tributaria per rimettere in sesto le finanze pubbliche.
Il disegno di legge noto come legge di solidarietà sostenibile prevede una serie di riforme allo statuto fiscale per aumentare la base dei contribuenti. Quest’ultimo riduce l’importo minimo a partire dal quale i cittadini devono pagare le imposte.
In un paese dove il reddito medio minimo è di 234 dollari al mese dal prossimo anno chi guadagna più 633 dollari al mese dovrà dichiarare l’imposta sul reddito.
La riforma include anche l’IVA al 19% su prodotti di consumo di base come alimentari e forniture di acqua, luce e gas, un aumento delle accise sui carburanti e una tassa sugli imballaggi di plastica monouso. Sono previste anche imposte sulle pensioni e sui redditi elevati, ma solo per un periodo di tempo limitato.
L’obiettivo primario della riforma è raccogliere 23,4 miliardi di pesos, circa 7 milioni dollari, per finanziare programmi di assistenza sociale, creare un fondo contro il cambiamento climatico e affrontare la crisi economica dovuta alla pandemia.
Immediate le proteste dato che secondo l’ormai ex ministro delle finanze Alberto Carrasquilla il 74% della raccolta di denaro sarà ottenuta dalle famiglie e solo il restante 26% dalle imprese. Il clima si era già surriscaldato nei giorni precedenti della presentazione della riforma quando il presidente Duque ha annunciato spese militari per 3,7 milioni di dollari.