Dal 1995 i paesi aderenti alle convenzioni sul clima delle Nazioni Unite (UN Framework Convention on Climate Change – UNFCCC) hanno saltato solo l’anno pandemico del 2020 per vedersi.
Questi incontri internazionali o COPS, per utilizzare la terminologia britannica, hanno prodotto piani d’azione (Bali 2007), mandati (Berlino 1995), protocolli (Kyoto 1997), piattaforme (Durban 2011), aspre rotture (Copenaghen 2009) e accordi (Parigi 2015).
Ma le emissioni di gas serra nell’atmosfera e l’associato riscaldamento di quest’ultima continuano senza sosta.
Diplomatici, scienziati, lobbisti, attivisti, artisti, media, politici e imprenditori si sono ritrovati a Glasgow per il COP26.
Per fare cosa?
Per rimuovere l’ostacolo più grande alla fioritura umana: la dipendenza dai carburanti fossili. Niente riscalda l’atmosfera più della combustione di questi imprescindibili elementi di energia che hanno cambiato il corso dello sviluppo della storia economica.
Siamo arrivati alla disamina della festosa corsa del benessere.
“L’ambientalismo senza lotta al Capitalismo è giardinaggio”, Chico Mendez più o meno lo concepiva così il Bla Bla Bla di Greta Thunberg.
“Niente è più utile del superfluo” sentenziava Oscar Wilde cogliendo l’essenza del Capitalismo. E allora “Che fare?” riprendendo Lenin?
Il tripudio del superfluo ha saturato il pianeta terremotando il futuro. Il sogno di un Pianeta di quasi 8 miliardi di persone pronti a vivere nel conforto materiale sarà inarrivabile se basato su un’economia alimentata da carbone, petrolio e gas naturale.
Una verità fondamentale che s’innalza a tremenda logica in quella parte di mondo che corre.
L’ASIA FORSE NON É PRONTA PER TUTTO QUESTO
Circa un miliardo e mezzo di asiatici vive ai tropici e centinaia di milioni vivono sulle coste. Per le loro economie e le loro vite afflitte da alluvioni, tempeste, ondate di caldo e siccità, abbandonare i combustibili fossili senza un rapido e poco costoso adattamento alle fonti energetiche “pulite” significa fallire prima di diventare ricchi.
L’Asia cresce costantemente producendo gas serra, mentre altrove sono in declino. Le emissioni nocive permettono di sostenere uno sviluppo economico senza precedenti. Questo è difficile negarlo.
Pertanto, la politica delle “zero emissioni” deve essere percorsa in una sola maniera: correndo il più veloce possibile. Deve essere una transizione capace di superare l’ascesa del benessere “tossico”.
L’Asia, inclusa l’Australia, produce e consuma i tre quarti del carbone del Pianeta. Circa la metà dell’elettricità della Cina viene da questo “fossile”. Delle 1.002 centrali a carbone progettate o in costruzione nel mondo, 865 sono in Asia e nel Pacifico.
Il continente asiatico è anche il più grande produttore di acciaio e cemento, attività che emettono copiose quantità di emissioni. E più i popoli d’Oriente diventano ricchi più comprano macchine e più voli prendono.
Sacrificare tutto per il clima? Ma conviene veramente? Voi lo fareste considerando che l’anima ricca del Pianeta ha condiviso il benessere talmente a lungo che potrebbe essere considerata la vera responsabile del cambiamento climatico?
ONE POINT FIVE TO STAY ALIVE
Il capro espiatorio non contempla comunque la risoluzione del problema. Lo slogan da apocalisse “uno punto cinque gradi per sopravvivere” (one point five to stay alive) ricalca il germe di tutte le battaglie. L’incremento di due gradi significherebbe la sepoltura dell’umanità. Mantenere l’accelerazione sotto questo limite sarebbe l’ancora di salvataggio.
La richiesta quanto mai fondamentale per il Pianeta verrebbe a discapito di quella parte che ha vissuto l’apocalisse nella vita di tutti i giorni.
Il sottosviluppo è di gran lunga la religione preponderante di questo pezzo della galassia pertanto inficia sulla percezione del pericolo.
Ernesto “Che” Guevara insegnava “se il ricco e il povero votano lo stesso partito qualcuno sbaglia, e non è il ricco”.
Sposare il sacrificio dettato dal cambiamento climatico consiste nel salvare il benessere del ricco. Questo è il partito!
Cosa potrebbe far cambiare questa volgata, aspra, veritiera e diretta?
Iniezione di denaro. In altre parole redistribuzione della ricchezza dal Nord del mondo verso il Sud. Nel 2009 l’Occidente aveva promesso 100 miliardi per l’emergenza climatica destinati al cosiddetto Terzo mondo da erogare entro il 2020.
L’ammontare è una sparuta frazione dei 2.000 miliardi che servirebbero come investimento annuale secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia per sostenere i paesi in via di sviluppo in questa transizione.
Di quelli promessi nel 2009 alle soglie del 2020 erano stati dati solo 80 miliardi. Ma di cosa stiamo parlando?
Stiamo assistendo alla saga delle perdite e dei danni e degli strumenti per colmarle e sistemarli. Una sorta di indulgenza richiesta a chi non ha nulla e continuerà a non avere nulla da coloro che hanno più del tutto e continueranno ad avere più del tutto.
L’impegno e la volontà latitano nel percorso di salvataggio dell’anima. Europa, Stati Uniti e Cina contano per il 51% delle emissioni nocive dovute alla combustione di carbone, petrolio e metano.
L’usufrutto sul clima di questa parte di mondo è un credito chiamato benessere a cui il resto aspira. In un Pianeta che conosce la resurrezione capitalista solo in termini di carbon – fossili professata dalla religione degli “sviluppati”, la paura permea tra coloro di confessione denominata “sottosviluppo” rendendoli restii al passo indietro. Cedere al ricatto del clima significa cadere ancora più in basso.
La torta sta marcendo: l’ambientalismo senza lotta al Capitalismo è giardinaggio.