La protesta degli agricoltori indiani è molto importante perchè mette a nudo la speculazione che sta colpendo questo settore in tutto il mondo. Chi ci guadagna con la terra arata con fatica non sono più i soggetti che la coltivano. Questa è una storia di piedi che calpestano la terra e di mani sudate che imbracciano zappe.
Il sistema economico indiano per mano del suo primo ministro Narendra Modi vuole cambiare radicalmente il mondo dell’agricoltura. Ma i contadini non ci stanno e da due mesi lottano asserragliati alle porte della capitale Nuova Delhi.
La polizia ha utilizzato gas lacrimogeni e getti d’acqua per frenare la loro avanzata verso il centro della capitale. Ma loro non si arrendono e dormono nei loro trattori, soffrendo il freddo e senza risorse.
“E’ una battaglia per la sopravvivenza e ogni dolore è legittimo.“
Qualcuno denuncia.
“Finchè non avremo quello che ci spetta non andremo via. Chi governa deve badare al popolo. Se chi governa non sta male nel vedere i suoi contadini per strada allora non dovrebbe governare.”
Così spiega la situazione un altro dei trecentomila contadini.
Per più di 3 mesi, centinaia di migliaia, accampati alle porte della capitale stanno armando una protesta senza precedenti.
Abbiamo già parlato dell’oggetto del contendere, ma urge riassestare la memoria.
A settembre il governo di Narendra Modi, leader nazionalista indù (per intenderci alla maniera europea, leader di Destra), promuove e fa approvare l’ Indian Agricolture Act, un quadro normativo che ha lo scopo di liberalizzare il settore agricolo.
Cosa cambia ?
Prima della riforma, i beni alimentari essenziali come riso patate e pomodori che rappresentano la dieta base indiana non potevano essere venduti oltre un certo prezzo. Adesso è possibile.
Prima della riforma, i contadini gestivano il mercato con un prezzo minimo di vendita garantito. Adesso non c’è più il prezzo minimo di vendita sui prodotti agricoli.
La shining India promossa dal partito del premier Modi ha come base il liberismo assoluto. Liberalizzare consente di entrare ai colossi del settore pompando il capitale spazzando via le miriadi di piccolissime realtà contadine indiane .
Il governo non cede alle manifestazioni. La lunga lotta non deve avere alcuna concessione, minerebbe la forte ideologia nazionalista e la reputazione della potente figura forte di Modi. Ha perfino bloccato l’accesso alla rete internet intorno Nuova Delhi per tagliare le comunicazioni alla protesta.
Dopo il crollo del Muro di Berlino dal 1991 in India si è assistito all’emergere di un liberalismo economico sfrenatonella convinzione che fosse la panacea per innalzare la parte più povera della popolazione.
Tutto ciò in virtù di una crescita economica sostenuta che avrebbe dovuto limare le disuguaglianze. Questo però non è avvenuto e ora l’avanguardia politica progressista bengalese e dei sikh del Punjab nonchè l’avanguardia economica dei contadini del Deccan, un simbolo come la fertile pianura padana, sono in subbuglio e non ci stanno più. Vivere lottando o morire di stenti non c’è ormai differenza.
L’india è un continente: 20 regioni agroclimatiche, 52% di terre coltivabili e possiede 46 dei 60 tipi di terreno esistenti. Queste sono alcune delle caratteristiche oggettive del subcontinente indiano a cui si aggiungono primati come maggiore produttore di latte al mondo e come secondo maggiore produttore di frutta e verdura del piccolo Pianeta Terra.
L’agricoltura concorre al 50% della forza lavora indiana e il
70% popolazione rurale si sostiene con la fatica nei campi.
Nonostante i numeri dell’umanità contadina l’agricoltura è un sesto del PIL nazionale.
L’India è cresciuta a un tasso medio del 6,7 % nell’ultimo ventennio, mentre l’agricoltura al 3,6%; troppo poco per il primo ministro Narendra Modi.
Il gigante indiano è costellato da milioni di aziende piccole
dove l’87% possiede un massimo due ettari. Solo 5,2% utilizza trattori.
Il settore è afflitto da problematiche e né il governo, né i contadini negano questo: la piccola scala, la mancanza di modernizzazione, la mancanza di manodopera specializzata e la scarsa diversificazione delle culture sono solo alcuni delle problematiche che non saranno sicuramente risolte con l’arrivo del grande capitale stile Furore di John Steinbeck.
A contorno delle difficoltà si erge la tragedia. Il 7,5% dei suicidi totali del paese avvengono nel mondo agricolo. Sono stati 10.300 casi lo scorso anno.
Perchè si tolgono la vita?
La distruzione dei raccolti da parte dei monsoni, l’insolvibilità, i problemi legati alle culture geneticamente modificate e le politiche governative opprimenti, sono solo alcune delle cause.
I contadini come avrete capito non si fermeranno: Modi, alla stessa maniera, non cerca una soluzione, ma cerca di portare avanti un progetto sul solco del neoliberismo sfrenato decennale che ha solo peggiorato le disuguaglianza.
scrittore, ricercatore indipendente e analista geopolitico. Nasce a Grosseto nel 1981. Negli anni accademici esplora l’Europa dalla Faculté des Lettres, Langues et Sciences Humaines di Angers. Si laurea in Relazioni Internazionali all’Università di Perugia e dopo studi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia vola all’Ambasciata d’Italia a Belgrado. Nei Balcani inizia a scrivere e dopo collaborazioni con testate online fonda geuropa.it Frontiere senza nazioni è il suo esordio letterario.