I giorni susseguente l’attacco nazifascista del 1941 all’Unione Sovietica videro Stalin ritirato nella sua distante dacia. L’Armata Rossa e tutto il popolo sovietico affrontavano la più grande sfida per la sopravvivenza e il loro capo si rifugiò in solitudine lasciando, apparentemente, lo scettro del comando a qualcun altro.
Qualche commentatore ha descritto così anche l’atteggiamento di Putin di fronte alla diffusione del COVID -19 nell’immensa Russia.
Dopo aver detto che il virus era qualcosa di americano per ferire la Cina e che la Russia era ben coperta, prendeva atto dell’errore e metteva Mosca e alcune altre città in lockdown mentre i casi salivano esponenzialmente.
Le uniche misure economiche prese sono state quelle verso i dipendenti pubblici, circa il 40% della forza lavoro, che saranno pagati regolarmente. Per il resto ci penseranno i governatori. Che avrebbe un senso, se in vent’anni di governo non avesse smantellato la Russia federale e centralizzato il potere privando le regioni e le entità politiche di autonome risorse finanziare.
Una rilevante eccezione è Mosca che ha risorse che nessuna altra capitale al mondo può sognare e infatti il sindaco Sobyanin, oltre alla capitale, cerca di provare a coordinare anche le altre regioni e città.
Putin pensa alla propaganda inviando medici in Italia e negli USA atteggiandosi a misericordiosa superpotenza, mentre la situazione sanitaria russa da spago alle modeste opposizioni come quella fatta dal medico Anastasia Vasilyeva che ha denunciato l’inadeguatezza delle strutture arrivando allo scontro quando ha tentato di fornire di mascherine e altri dispositivi i medici di altri ospedali.
Le autorità russe temono di più le critiche che il COVID, a quanto pare. In tutto ciò c’è lungimiranza.