Chi parla per l’Europa? Henry Kissinger, noto segretario di Stato americano degli anni Settanta, si poneva sempre la domanda senza trovare una soddisfacente risposta; ma un letterato potrebbe trovare una risposta nella sala stampa del palazzo Berlaymont a Bruxelles.
L’avventore sarebbe in buona compagnia con potpourri di antisettici giornalisti a contorno mentre ascoltano i membri delle Commissione europea che parlano di regolamenti sulle telecomunicazioni, irregolarità alle frontiere oppure di legislazione ittica.
E’ difficile per una organizzazione “senza sangue” trovare un’espressione culturale appropriata. L’inno europeo è “l’Inno alla gioia” di Beethoveen; soddisfa i suoi auto celebrativi leader, ma è inadatto per un club con poco affetto pubblico.
Meglio sicuramente rivolgere l’orecchio vecchio i Kraftwerk, un gruppo di musica elettronica tedesco, la cui morte del suo cofondatore, Florian Schneider, è stata resa nota da pochi giorni.
Gli album dei Kraftwerk tra gli anni Settanta e Ottanta possono aver reinventato il pop, deposto le uova per una dozzina di altri generi e aiutato a definire l’era digitale. Ma loro erano anche perfettamente in tono con la costruzione dell’Europa contemporanea.
Trans – Europe Express del 1977 progetta un certo continente: un’Europa senza fine.
Imposta vagamente un ma descrizione di un decadente territorio senza frontiere con una linea che arpeggia maestosa.
Otto anni dopo, l’accordo di Schengen rende reale la loro visione. Le cronache delle tracce dell’album riflettono il viaggio in treno attraverso il continente al ritmo del rumore delle ruote sui binari.
Loro ad essere onesto sono della “Vecchia Europa” , centrata sulla zona del Reno, dove Schenider e Hutter, il suo cofondatore, sono cresciuti, con l’Olanda, la Francia e il Belgio a un tiro di schioppo.
Il romantico tour di “Trans – Europe Express” parte dalle Champs – èlysées fino ad arrivare ad ad est al Cafè Hawelka in Vienna.
Prendiamo esempio dai Kraftwerk e lasciamo riposare Beethoven.
Monika Kozub via unsplash