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Nel 2009, a Belgrado, quando risalivi per Kneza Milosa verso la presidenza della Repubblica lasciandoti alle spalle il fiume Sava potevi ammirare dei monumenti storici particolarmente macabri. Erano gli edifici bombardati dalla NATO nel 1999. Dieci anni prima.
Li potevi osservare in ambo i lati: l’ex ministero della difesa appena imbocchi la via e più avanti sulla destra lo stato maggiore dell’esercito. Quest’ultimo è di fronte alla presidenza del Consiglio così ogni capo di Stato o di governo della Nato in visita all’omologo serbo può osservare cosa ha prodotto la sua aggressione per mano Atlantica.
E’ un vacuo e proficuo risentimento materiale, lasciato lì splendido a promemoria delle malefatte occidentali. Poi ci sono le ambasciate di Croazia e Stati Uniti murate. Altro tipo di simbologia d’effetto consumata verso il fulcro del cosiddetto soft power che dovrebbe prediligere le parole piuttosto che le bombe. Ma Kneza Milosa esprime una ferita che deve rimanere lì e non deve essere rimarginata e quindi tutto deve essere dolente. Le ho catturate in questo cortometraggio realizzato sulla morte della Jugoslavia. Un video diario del 2010 dove verso la fine potete ammirare questi cimeli.
VIDEO DIARIO LA MORTE DELLA JUGOSLAVIA
Oggi parliamo di Serbia come un paese leader nella vaccinazioni. Il terzo paese in Europa per dosi somministrate. Migliaia di bosniaci, macedoni e Montegrini hanno oltrepassato la frontiera per la vaccinazione gratuita.
Sul sito del ministero della salute i serbi posso scegliere il vaccino: russo, cinese o occidentale quello che è disponibile. Per il momento i tre quarti delle dosi iniettate sono cinesi. Per “farti” un Pfizer devi avere contatti. Agli stranieri gli danno Astrazeneca perchè probabilmente i locali non lo vogliono. Al 27 di marzo il 20% dei serbi aveva ottenuto la prima iniezione.
Aleksandar Vucic, il presidente, se la rideva sostenendo che un trentenne tedesco potrebbe aspettare anni per la sua prima dose.
Nonostante tutto il tasso di infezioni e le morti sono alte. Molti serbi non prendono precauzioni, dice un medico di Cacak, particolarmente quelli che hanno preso la prima fiala. A differenze della maggior parte dell’Europa in Serbia non c’è stato un lungo lockdown.
Il sistema sanitario è fatiscente: gli ospedali serbi hanno un quarto in meno dello staff che hanno gli europei occidentali, in parte perchè molti sono emigrati.
A minare la vaccinazione ci sono le teorie del complotto in cui molti credono. Uno studio ha rilevato che il 70% dei serbi crede in una cospirazione tipo che sia un arma biologica o che sia diffusa dai trafficanti di droghe. Nei paesi occidentali il tasso è di un quarto.
Dagli anni Ottanta, il mondo serbo schiuma di iperproduzione di complotti, maggiormente xenofobi, diretti da albanesi, bosniaci, croati o dal Vaticano. Oggi con difficoltà i cittadini distinguono racconti pazzi dalla realtà.
Vucic comunque ha comprato vaccini in Europa, Russia e Cina. E’ un pò l’emblema della Serbia del dopo Jugoslavia e del dopo Milosevic. Una porta per tutto ciò che non è troppo occidentale ma nemmeno troppo orientale.
Mi ricordo di quando la FIAT installò una fabbrica nella città di Kragujevac rimettendo in sesto una vecchia officina che fabbricava Zastava, icona della macchina jugoslava socialista insieme alla Jugo. Era il 2009 e nacque FIAT automobili Serbia.
Producevano Punto vecchio modello con la speranza di un “dazio zero” con la Russia che all’epoca già c’era per molti prodotti. Quest’opportunità non si materializzò ma la fabbrica continua a produrre nel paese balcanico. L’amministratore delegato della nuova società, De Filippis, un operaio diventato manager, mi confessò in ambasciata che i ritmi di lavoro sono al dieci per cento di quelli Occidentali, per numerose cause, ma vuoi mettere il dazio zero con la Russia?
Siamo ancora lì: un ponte tra l’Ovest e l’Est dove quasi tutto è concesso.
Kusturica potrebbe firmare una pellicola di notevole spessore in questo scenario: la rotta balcanica del vaccino.
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