C’è una storia in Europa che desidererei raccontare alla comunità degli europei. Una nazione, apparentemente vessata e sventrata dalla storia, è percorsa da un nazionalismo xenofobo, omofobo e anti europeo che sfila per le strade totalmente impunito.
La Polonia, infatti, ha subito molti colpi bassi dai paesi vicini. Le tre spartizioni ad opera dell’Impero Russo, prussiano e asburgico avvenute alla fine del 1700 pesano ancora sulla percezione storica del popolo.
L’Ottocento non cambiò lo scenario, anzi, si aprì con la sconfitta di Bonaparte e con il Congresso di Vienna e gli Stati, come il Ducato di Varsavia, che furono in qualche modo favoriti dal periodo napoleonico caddero di nuovo in disgrazia. Il Ducato di Varsavia fu diviso tra il Regno del Congresso, il Regno di Prussia e la Repubblica di Varsavia. Nel 1832, i paesi egemoni si spartirono nuovamente i territori e il regno del Congresso e la repubblica di Varsavia finirono in mani russe, il primo, e in mani austriache, la seconda. Dopo alcune rivolte fu imposta una russificazione di massa delle componenti polacche dell’impero russo.
I polacchi sostanzialmente erano senza colpa in quest’Inferno; furono sempre additati come incapaci di governarsi e in mezzo a un gioco geopolitico prevaricatore e troppo più grande della loro capacità di battersi.
La Grande guerra combattuta tra 1914 e il 1918 trasformò i confini e ridimensionò il ruolo degli imperi astiosi verso i polacchi. Nacque così la seconda repubblica di Polonia che cessò di esistere nel settembre 1939.
La solidarietà francese e tedesca contro la prepotenza nazista operò come evento storico nazionale: qualcuno finalmente corse in loro soccorso. Già Napoleone fu benevolo con loro, ma nessuno mosse guerra per salvarli nelle precedenti spartizioni settecentesche e ottocentesche. Il mito del polacco vessato e sventrato aveva dei portavoce.
L’occupazione nazista e poi la sovranità limitata brezneviana fecero dei polacchi il volto umano dell’oppresso fino a quando un uomo scusò dicendo queste parole il 21 maggio del 1991 di fronte alla Knesset, parlamento israeliano, per l’antisemitismo che aveva segnato il passato della Polonia, e aveva aggiunto che durante la guerra “molti dei polacchi” erano stati dei “gentili giusti” che avevano aiutato i perseguitati ebrei bisognava pure riconoscere che “tra noi ci furono anche dei malvagi”. Questo mea culpa fu pronunciato da Lech Walesa, premio Nobel della pace nel 1983 e presidente della Polonia.
Nel frattempo era caduto il Muro e nel 2003, la nazione entra a pieno diritto nella famiglia europea. Due milioni di polacchi si trasferirono nei tre anni seguenti in Regno Unito per lavorare. La serie B dell’Europa unita comincia a galoppare economicamente, ma non riesce a staccarsi di Nel 2018, una legge del parlamento ha approvato ai primi di febbraio del 2018 una legge che colpisce penalmente chi parla delle vaste collusioni di polacchi con i nazisti nello sterminio degli ebrei.
Nel 2017, il sindaco di Danzica Pawel Adamowicz ucciso per mano di estremisti di destra ammonì: “L’abuso fisico è di solito preceduto dalla violenza verbale. In Polonia affrontiamo il brutalissimo linguaggio nel dibattito pubblico, da Kaczynsky fino agli slogan di piazza.”
La Polonia, oppressa, dalla storia reagisce così.